Critica

[…] Il suo discorso appare, da un colore impastato di luce, vitale, capace di scandire l’immagine di un luogo, di una serena veduta della campagna francese o toscana e di costruire sulla tela una realtà colta con misura e freschezza d’intenti compositivi.
E la sequenza delle “tavole” mette in evidenza “un dipingere di getto, impressionistico, che al il fascino della voce fresca e immediata…” (Luigi Servolini), mentre Tommaso Paloscia suggerisce una chiave di lettura dove “Le vedute dell’Elba, i campi di girasole a Vada, i tagli impaginativi dell’Arnaccio o le ricorrenti spianate di Castiglioncello sono le tappe meravigliose toccate dal fluire del suo desiderio iniziale…”. A più di trent’anni dalle prime personali, Volpe propone con un “corpus” di dipinti accompagnati dai vari versi di Eugenio Montale. […] […] La neve è la vera, insostituibile, determinante artefice delle composizione di Volpe, che ha affidato ai suoi quadri il senso di una ricerca sensibile al valore della luce, delle abbaglianti giornate di sole, dei viali appena segnati dal passaggio delle rare automobili.
Ogni veduta, ogni scorcio di un Piemonte colto con una sottile emozione, ogni ponte sul Po, diventano i luoghi di un ambiente delineato con misura senza mai abbandonarsi in sintetiche semplificazioni, ma raggiungendo sicuri approdi dell’immagine che sembra rievocare i versi di Pavese:
Appare del tutto particolare l’impegno di Volpe che ha saputo fissare sulla tela il Piemonte sotto la neve, soprattutto ha tradotto con sapienza tecnica grandi e frondosi alberi immersi in rarefatte atmosfere, mentre si avverte il fascino dei “Candidi silenzi innevati”, dei “riflessi sul Po”, e del “Lungo Po innevato”. […]
[…] Il suo rapporto con la natura e i suoi oggetti quotidiani è vissuto con grande spontaneità descrittiva e il mondo naturale rimane il grande rifugio spirituale con cui l’artista elabora una sua grammatica narrativa capace di dare rilievo e consistenza alle cose guardate con grande amore. Non sarebbe giusto – come apparirebbe d’obbligo a prima vista – invocare un suo distacco contenutistico da quei temi che rappresentano la sua concessione contemplativa e romantica del mondo, il suo stimolo primario è fare pittura e al guardare all’incanto descrittivo: è in quel mondo (e non in un altro) che egli costruisce il suo gioco cromatico, le sue dilatazioni spaziali, le sue invenzioni coloristiche. […] […] non sono mai i contenuti il limite eventuale di una produzione pittorica: tutt’al più si potrebbero invocare un maggiore distacco figurativo e un minor coinvolgimento sentimentale nei confronti di una natura che potrebbe essere problematizzata in alto modo se rapportata alle vicende dell’uomo e alla sua storia, un uomo insidiato da violenze, disperazioni esistenziali, caducità e follie: tale problematizzazione aiuta spesso ad evitare il facile bozzettismo tradizionale e perfino, all’opposto, la neutralità e l’indifferenza iperrealista […]
[…] È la luce che più ci colpisce nei suoi dipinti migliori, sia quando “illumina” il cupo e livido cielo dell’inverno o il giallo e rosso infuocato dei tramonti, sia quando incide come lama tagliente sulle superfici. Nondimeno le nature morte. Su questi oggetti semplici e quotidiani la luce domina sempre e rende alle pennellate il vigore della forma e della plasticità. Fedeltà veristica comunque, che costringe Volpe alla banalizzazione della sua pittura […]
[…] Lo spirituale di Angiolo Volpe si sposta palpando il fiato dell’aria, fin dentro il ventre della materia. Fra le nevi grasse e le scorte di case ammucchiate, qualsiasi soggetto non è troppo per esser tratto, purché non si valuti prezioso argomento, ma si lasci cantare per quel che è: cosicché si tocchi attraverso l’arto della trasparenza; s’accarezzi dolcemente con la levità che esige e merita; se ne sappia coglier la nebbia da un velo o la panna da un vetro […] […] La sovrana natura dell’artista è scevra d’orpelli tecnologici e di fisime mentali, prestandosi alla genuinità primigenia degli elementi attraverso la pantomima di giornate fisse, senza l’invenzione contaminante della scienza, incontro alla scoperta d’una suprema intimità delle cose […] […] Ma quanto vive il ricordo secondo Angiolo Volpe?
L’attimo d’un sogno… E la velocità muore nell’evanescente immagine d’un mondo al vapore che si rigira su se stesso, rincorrendo il desiderio di quella perduta emozione, nel solco degli anni.
La teatralità bucolica di Volpe s’identifica, così, con la mimica forma d’eventi insostituibili, uguali da millenni: tracce di un’eternità che l’uomo non ha contribuito a creare, ma che, invece, purtroppo concorre a minacciare; e l’artista diffonde un gusto del “tempo artistico” tanto tradizionale quanto futuribile, col paradosso di un’arte silvana, incisione sentimentale che narra, senza saperlo, dell’essenza della stasi […]
[…] Una poesia della natura che Volpe ha innata tra le doti precipue e che non si limita alla creazione fisica o vegetale ma che si estende alla vita degli animali e degli uomini che vivono e lavorano in accordo con essa. La poetica del Nostro inizia dallo studio e dalla sensibilità per i fiori ( citiamo le smaglianti distese di fioriture; rosse, gialle, bianche, lilla ecc.) per estendersi a quella degli esseri viventi.
Cavalli bradi in Maremma, buoi al lavoro nei campi, greggi al pascolo, storni di uccelli nel padule e così via: è una natura palpitante, fremente e spontanea, che Volpe sa vedere, sentire e trasmettere all’osservatore. Una pittura di non semplice “visione” ma pregna di sensazioni, concetti e situazioni che la pongono con estrema modernità nei migliori momenti delle arti figurative. Scelte, emozioni, meditazioni insite in un contesto che la genialità dell’Artista sa opportunamente definire e proporre. Emozionalità e introspezione critica alla base di ogni creazione di Angiolo Volpe. […] […] L’ispirazione e la serena forza interiore dell’Artista si fondono in un connubio vivo e vincente.
Ritornando più strettamente alle tematiche dobbiamo ancora evidenziare quel capitolo importantissimo che, nell’arte di Angiolo Volpe, è rappresentato dai dipinti di “natura morta”. Fin da giovane seppe eccellere in questi quadri con le composizioni più diverse e vibranti: frutta e fiori, frutta e funghi, spesso uniti a ceste toscane e a brocche o vasi antichi. Una intera gamma è dedicata a quelle con “soggetto marino”: i più svariati pesci, i crostacei e i frutti di mare spesso uniti all’inseparabile limone e ancora conchiglie e stelle marine. Alcune poi sono legate a situazioni stagionali di cui assurgono a simbolo, ad esempio nature morte con i frutti autunnali: uva, castagne, melograni, disperi, cacciagione ecc. Citiamo infine le più “aristocratiche” e “sofisticate” con tessuti disposti in morbidi panneggi, trinati e simili in composizione con bellissimi vasi di fiori recisi e altri oggetti di arredo. Un mondo dunque, quello della natura morta di Volpe, che affascina e attira con una evoluzione sempre positiva e valida negli anni. […] […] Per me , che seguo l’evoluzione interiore e formale della pittura di Volpe da oltre un quarto di secolo, è una nuova positiva conferma del naturale talento e dell’impegno di ricerca di uno dei più importanti artisti figurativi italiani del secondo Novecento. […]
[…] Vi è persino qualcosa di nuovo nella sostanza pittorica dei colori, che, pur continuando a contraddistinguersi per la loro ricercata composizione (a lungo bisognerebbe parlare della diabolica “officina” di Volpe…), godono oggi di un rimescolamento raffinato, il cui esito, se negli oli paradossalmente dà vita ad una matericità più corposa, nei pastelli, al contrario, finisce col determinare una scrittura organicamente più sobria […] […] Di questo artista di talento, continua ad ammirare il versante più segreto e aristocratico del suo lavoro: le carte, appunto. Spazi in cui egli ha mirabilmente condensato emozioni e idee, riflessioni e stati d’animo, abbandoni, soprattutto, che testimoniano l’inclinazione profondamente sensibile di un temperamento autentico.
In questi straordinari esempi di pittura, Volpe è arrivato a fissare l’aria come in una sorta di incantesimo. Di più, è stato capace di restituire l’afflato originale, consegnando all’altrui immaginazione essenze seppellite nel grande scrigno dei ricordi. Spiagge e campagne hanno ricominciato a vivere in cromie sorvegliate, tra luci e ombre che raccontano ore di attesa, soste tormentate, alla ricerca di quel momento destinato a dare un senso alla stessa iniziale ispirazione. […] […] L’urgenza che ha propiziato questa inattesa frequentazione nel mondo dell’immateriale è cresciuta a poco a poco con segni inequivocabili, tutti, peraltro, ascrivibili al progressivo impegno con la tecnica del pastello: una pratica severa, complicata, che esige dedizione estrema, attenzione ostinata. L’acuta essenzialità, diresti persino il rigore, con cui si emancipano queste raffinatissime composizioni è l’esito ultimo di una condotta ricca di lodevoli implicazioni: il tono che indovini esasperato di un’analisi tutt’altro che artificiosa diventa preludio a un compendio cromatico denso di dissimulate sollecitazioni, dove una ricercata omogeneità amplifica l’aura romantica insita nelle diverse rappresentazioni. […]
[…] Ho già avuto il piacere di presentare il nostro giovane Angiolo Volpe, e questa volta l’impegno si rileva maggiore. La continuità è sempre più palese per il buono e sicuro temperamento che occorre al pittore quando specialmente si è, come lui. autodidatti.
Il pittore Volpe batte la via del vero; a questo proposito il grande scrittore e critico d’arte, Oscar Wilde, divideva i veristi in tre categorie, la prima erano quelli che facevano peggio del vero, la seconda quelli che facevano come il vero, e la terza quella degli artisti che superavano il vero: qui il Volpe, di carattere mite e meditativo, fa sentire questo desiderio di superamento che lo condurrà a far parte di quegli artisti qualificati dal grande poeta inglese: questo è l’augurio che faccio anch’io a Angiolo Volpe. […]
[…] Temi del Volpe sono ad esempio: “ La tersità dell’atmosfera di un mattino autunnale sulle coste Livornesi”, o “il dinamismo di puledri in fuga nella Maremma Toscana”, o “La quotidianità di una scena di vendemmia con al centro i gradi buoi”, o “Butteri e mandrie in movimento”, “Barche variopinte all’ancoraggio”, “mare”, “Pineta”, “Campi di girasoli”.
Certo la grande professionalità dell’artista si apprezza, nel disegno, un mezzo al quale a grandissima padronanza, frutto di una lunga copiosa esperienza libera e moderna del mezzo grafico come elemento di immediata resa dell’effetto, e nei disegni di “studi di movimento” la tensione narrativa si fa più evidente nella cura dei particolari […]
[…] Intelligentemente studiando l’opera dei “macchiaioli”, legati alla sua Livorno non tanto per l’amore del loro capo Fattori quanto per l’eredità che per parecchi lustri hanno lasciato in retaggio ai Labronici (alludiamo ai tanti pittori che hanno operato nel loro solco e ad un cultore anche del collezionismo e degli studi storici sul famoso movimento: il Brogiotti), il giovanissimo Angiolo Volpe si è fatto, da autodidatta (ed anche qui l’alto esempio della scuola “en plein air” macchiaiola ha la sua ortodossa impronta), una delle più promettenti reclute della pittura Livornese. […] […] Il paesaggio dagli effetti tonali, la misura con cui vede l’ambiente paesaggistico, l’amore per la suggestione dei grigi non sono in lui, però, effetto di riflessione, ma voce che sgorga genuina, perché anzitutto sentita. Nato nel particolare elimina, ne respira l’aria; ed è un respirare sano e sincero. Il Volpe ha visto bene anche la bravura, che spesso diventa eccesso di mestiere, di molti suoi concetti direi, e ne ha preso quel tanto che rende facile e svelto il suo pennello. Un dipingere di getto, impressionistico, che ha il fascino della voce fresca ed immediata; ed una sapienza di sintesi, che stupisce in un giovanissimo. Sembra un paradosso tanta esperienza di tinte ai ventisei anni di questo pittore! […] […] Quando gli inevitabili squilibri e certe durezze spariranno dalle sue tavole e tele, noi saluteremo nel Volpe un saggio, serio e sensibile pittore, che sa sin da ora riconoscere il segreto del linguaggio dell’artista nella pura interpretazione poetica: così come adesso, per questa sua impegnativa personale di cinquantatre impressioni (paesaggi e nature morte) che trascurano le sue emozioni e che sono no veristiche copie ma vive e mosse interpretazioni, noi volentieri lo teniamo a battesimo dell’arte con una certezza di cammino, che è per lui il meritato auspicio. […]
[…] Ed è cosa ancora più straordinaria, ciò che accade nella pittura del Volpe, anche perché chi bene osserva scoprirà  che tutto questo nasce senza che neppure l’artista v’abbia posto intenzione: spontaneo com’è la sua stessa connaturata natura di descrivere dell’ambiente. Ecologista senza aver studiata la sua parte; scienziato della natura medesima senza averla schedata; innamorato di quegli spazi aperti che hanno invaso con piena foga il suo studio di pittore. Con toni e misure da postmacchiaiolo mi si dice, ma io non sono d’accordo. Qui il racconto ha assunto un’altra veste; la trama potrebbe trarci in inganno per certe assomiglianze, ma la recita e la conclusione in scena sono assai diversi contenuti e soluzioni. C’è uno stile nuovo; un rinnovarsi di cultura e misura: Volpe scrive “in privato” una sua leggenda della natura, con stretti riferimenti al reale, eppur con notazioni che vi evadano. […]
[…] Varie e multiformi, in questo nostro clima così oscillante e trascurato – epoca addirittura indefinibile – , le espressività d’arte; ma la storia propone ancora il tanto discusso figurativismo, secondo rinnovate e moderne formule.
L’opera pittorica, per essere accettabile, deve rispondere ad un presupposto ben preciso,
inderogabile: illuminare di immagini il processo del colore, secondo linee estetiche e con larga umanità, senza ricorrere a falsificazioni di sorta: il quadro abbia le sue parole di dramma, di fatica, di ricerca ma anche l’indispensabile chiarezza generativa, condizione di un coacervo spirituale, per comunicare direttamente al pubblico; non equivochiamo con la parola: leggibilità. […] […] Queste zone di luci, passate e presenti, e che formano poi la storia nel contesto più qualitativo, si devono incontrare, penetrare, rimanere cioè nella immaginazione come trascendente attività. Formula validissima e altrettanto pericolosa: può ingannare la facile dialettica di un dipinto, termine di limite e non di valore, problema tragicamente ignorato dagli esperti; la formula sempre valida è la brillante elevazione della descrittività, come timbro psicologico; è la conoscenza dell’artista che si riflette nella creazione, vita morale e figurativismo, di pura marca toscana, presente in Angiolo Volpe. […] […] Opere di valorata coerenza, di terminologia penetrante, di etica, di libertà e costruisce con molta grazia immagini e figure nel paesaggio, o meglio ancora paesaggi in cui predomina l’alto silenzio e lo stupore contemplativo: il disegno, la densità di tavolozza, i larghi cianiche si stendono all’infinito, gli accenti paese, i casolari, le architetture nascoste tra modellati alberi, le gravitazioni dei toni, le deliziose naturalistiche, il commento aereo dei cieli. Si osservi “Paesaggio di Lari” interpretato con autentico spirito di ambiente, secondo la grammatica della natura: i verdi, gli umori stagionali, le fioriture, la panoramica nella dimensione, la descrittività autoctona: pittura non rapportata a modelli, nel qual caso si parlerebbe di disegno colorato, ma accostamento religioso. Misurazione cromatica, equilibrio nel taglio pittorico per stabilire il ritmo unitario della forma, e perché i vari elementi, con i singoli attributi, rientrino nell’armonia dell’insieme. […]
[…] Angiolo Volpe è ancora giovane, molto giovane. Ha tanta pittura da fare. Ha tante cose da conoscere. La strada è buona. E’ augurabile che questo suo sogno d’artista duri nel tempo che non ha rispetto per nessuno. Quando la pittura vale è la medesima a dar prestigio al suo autore. Fossi io, oggi, con gli anni di Volpe! Trovo nella sua pittura la faccia della natura non nascosta, ma aperta al colloquio ed alla formazione della immagine che convalida le qualità di pittore di questo giovane labronico. Auguro che il Volpe possa camminare sulla medesima strada che io ho percorso in tanti anni, quasi un secolo. […]
[…] Le sue opere sono canti alla natura espressi in modi liberi rispetto alla mimesi, alla rappresentazione dal vero, en plein air: ricerca personale di tagli, di ritmi, di colori, di accostamenti che appartengono più allo sguardo interiore che alla realtà, più alle risonanze intime che all’ambiente, e più agli umori interni che a quelli esterni, anche se è dall’ambiente, dall’atmosfera, dall’aria che nasce la sollecitazione a ritrovare i colori di un’emozione panica permanente. […] […] Angiolo Volpe appartiene appunto a quel novero di artisti che non si stancano di sentirsi poeti e che cercano nella figurazione nutrimenti per uno sguardo felice, e, negli accostamenti cromatici, consolazioni per l’anima, speranze di restituzione di un’armonia smarrita, ma la cui impronta continua a essere presente, come nostalgia e come desiderio, come memoria genetica, in maggiore o minore misura, in ciascuno di noi […] […] Non c’è in questa pittura tensione concettuale, costruzione, bensì piena adesione emotiva a un’idea di paesaggio come luogo dell’uomo, ma non nel senso che esso appartenga all’uomo ma in quello che l’uomo appartiene al paesaggio, ed è natura nella natura, e che tanto più e meglio si realizza quanto più e meglio vive in armonia con la realtà ambientale, naturale, con la terra, il cielo, le piante, gli animali. […]
[…] Il paesaggio di Angiolo Volpe possiede in se più voci: è canto, poesia del ricordo, è presa d’atto d’una tangibile realtà, sovente d’una realtà di lavoro e di fatica, ma è anche empatia con la natura, fratellanza umana, passione per la bellezza del creato. Passione davvero, poiché vi si individua il segno dell’emozione, vi si avverte il fremito dell’incontro, non importa quante volte ripetuto e tuttavia nuovo per l’animo e per l’occhio, poiché le cose sempre si percepiscono diverse, per luci, stagioni, commozioni dello spirito. E tutto diventa colore, tutto si trasforma in luce, e luce e colore assumono la consistenza della materia, si fanno grumo, spessore, cresta lucente in cui si incaglia la luce, in cui si incunea l’ombra. Rara l’ombra, smorzata, soffocata dall’intenso sfrigolio d’una luminosità solare, mediterranea e quasi sempre meridiana, tutto il mondo di Volpe appare immerso, bagnato in questa luce, ne acquista una particolare lucentezza, talchè l’ombra vi appare come ispessimento cromatico, una necessità di scansione spaziale, l’atto necessario a far lievitare il colore. […]
[…] Ecco: Volpe, osando oltre i confini di una tavolozza tipicamente livornese, ha acquisito ampia dimestichezza con i colori pieni di luce di cui oggi riesce a fare ottimo uso; e quei colori
– ho nella mente un suo quadro recente con i gialli intensissimi che esaltano un piano intermedio della prospettiva cromatica attraverso la quale “si svolge” un campo di rape fiorite – ripropongono in modo assolutamente nuovo la visione. E tuttavia l’impianto disegnativo, strutturale, ricorda molto da vicino le esperienze formative dell’artista. Erano allora maturate nell’esercizio di una gamma tonale sempre più raffinata di colori essenziali, quasi poveri, ma sorretti dal sogno descrittivo. […]
È la luce che più ci colpisce nei suoi dipinti migliori, sia quando “illumina” il cupo e livido cielo dell’inverno o il giallo e rosso infuocato dei tramonti, sia quando incide come lama tagliente sulle superfici.
Donatella Migliore
“Per me , che seguo l’evoluzione interiore e formale della pittura di Volpe da oltre un quarto di secolo, è una nuova positiva conferma del naturale talento e dell’impegno di ricerca di uno dei più importanti artisti figurativi italiani del secondo Novecento.”
Ferdinando Donzelli
“Il suo discorso appare, da un colore impastato di luce, vitale, capace di scandire l’immagine di un luogo, di una serena veduta della campagna francese o toscana e di costruire sulla tela una realtà colta con misura e freschezza d’intenti compositivi.”
Angelo Mistrangelo